Senti, facciamo un gioco? E’ facile e indolore, anzi è utile, toglie via tutto, specialmente i ricordi. Facciamo che io e te non ci siamo mai visti? Eh, che ci vediamo adesso per la prima volta e tu non sai che faccia ho io e io non posso ricordarmi di te, perché mai ti ho visto prima? Lo facciamo? E’ bello, dai. Tu passi di qua, io passo di là e siccome non ci siamo mai visti prima, non ci vediamo e non ci riconosciamo e di conseguenza passiamo diritti, ognuno per la sua strada, ognuno con la propria andatura, e non c’è un tentennare, manco un inciampo, un cacchio chi mi ricorda?
Si passa diritti, ognuno per la sua strada, io di qua e tu di là, se preferisci cambiar marciapiede, ti lascio pure la preferenza.
Basta tener lo sguardo diritto, passarsi accanto e non riconoscere manco più l’odore e il calore altrui. Se è tanto, eccessivo, sforzato, facciamo che ci sorridiamo, che è comunque gentile in questo mondo maleducato.
Pensaci, due estranei che passan, uno di là e l’altro di qua, e che si guardano senza riconoscersi ma comunque si sorridono, è un gesto delicato. Che presuppone che la vita a entrambi ci aggrada così come è , al punto che a un estraneo gli sorridi, mica cammini rasente i muri, per paura che ti sbudelli alla prima occhiata.
Il nostro sia gioco lieve, come il nascondino. Non ci vediamo, ci passiamo accanto come in un passo di Fandango, ci sorridiamo se vuoi, che fa fino e socialmente corretto, ma non ci fermiamo e manco ci sfioriamo perché non ci riconosciamo. E quindi, ballare e sfiorare e gioire, che é? E’ inutile.
I tratti li abbiamo persi, il cervello si resetta prima o poi, senti a me.
Allo straniero lascia il passo.
Lo facciamo, il gioco? E’ facile, basta dimenticare. Scordare che ogni volta che ci vedevamo ci fermavamo, come cani da punta, ad annusarci per riconoscerci. E finivamo a star vicini vicini, perché il calor mio era il calor tuo, e mi parlavi per ore e ti parlavo per ore. E le mie labbra ti piacevan, perché eran vermiglie anche senza rossetto. E calde, anche se mangiavo ghiaccio.
E se è per quelle labbra che oggi non mi sopporti e mi eviti ma poi quando mi incroci, non mi annusi più, anzi ti scansi come se emanassi fetore e mi dici con gli occhi infastiditi dal sole, che io non sono umana, che sono solo cagna in calore, che ho la perfidia alta e l’ematocrito di conseguenza ne risente, non sarebbe più giusto, più adulto, se la giustezza non la capisci, camminar uno di qua e uno di là di questo maledetto marciapiede lercio, e giocare a non conoscerci e riconoscerci?
Sarebbe più adulto, sì, perché oggi tu sei vecchio e io sono vecchia, e sono passati decenni. Io farò 70 anni domani, tu ne hai fatti 75 l’altro ieri. Abitiamo da sempre uno di fronte all’altra, ci vediamo tutti i giorni. Ci odiamo da una vita. Non è giunto il momento per te di giocare a non vederci? Che con tutte queste rughe, chi si ricorda più quando tu hai scritto “Ti amo” su quell’albero? Che oggi manco c’è più, ucciso dal cancro dei platani? E domani, stanotte, potremmo non esserci più neanche noi?
Non ti pare sia ora?