Ottanta lettere? Ecco perché.
Ottanta lettere, tutte vuote.
Il titolo del libro che raccoglie i racconti di Mitia Chiarin è lampante, per quel che mi riguarda.
Mentre leggevo, di racconto in racconto, mi accorgevo che mi si chiudeva la gola, e le parole che scorrevano davanti agli occhi, nelle mie orecchie, dentro di me, erano la resistenza. La resistenza contro questo groppo che ti asciuga la voce, ecco cosa sono i racconti di Mitia.
Un bancomat che spezza il tuo silenzio di persona che vuole solo ritirare i soldi e andarsene affanculo nell’oblio, e ti chiede fantasia, storie, inventare, volare via, una bicicletta che ti riempie quando sei vuoto, un albero che ti aspetta, quando non puoi salirci se non con il pensiero, quando non puoi amare se non solo con la fantasia di un’altra vita, che non sarà mai tua.
Quando non puoi parlare perché se no muore tutto il tuo mondo fragile, inutile forse, ma l’unico che hai, quando le tue lettere sono vuote, perché quello che hai da dire cresce e si deforma sotto, troppo sotto, dove è perficoloso andare a rovistare.
I racconti di “Ottanta lettere” continuano a raccontarti, anche quando tu non ce la fai più ad aprire bocca.
Ecco perché.
(Pepper mind su Anobii)
“80 lettere”
di Mitia Chiarin, Fatacarabina è un libro di racconti brevi. Non so, la fama commerciale dei racconti brevi è talmente scarsa, che quando ti ritrovi a godere di questi libri, come accade puntualmente, ti senti piombare in una zona d’oscurità che condividi con pochi, sconosciuti lettori avidi come te – perché dicono che i racconti non vendono. Ed è un peccato, perché i racconti della Fata non sono affatto oscuri. Sono molti belli, tra il dolente e l’addolorato, appoggiati su un chicco di realtà facilmente riconoscibile, che ti permette di pensare che l’autrice non è una pazza delirante, ma una donna di visioni, che sa quello che fa, soprattutto quello che vede, e lo scrive in modo impeccabile, un italiano elegante e pulitissimo, capace di risuonare di sentimenti, secondo me. A me piacciono di più i racconti dove la Fatacarabina libera i protagonisti dalla speranza un po’ patetica che coltivano in qualcuna delle storie, mi piace “La carogna”, “La gente scema” – “E allora scaccio il vaffanculo e cerco di dormire”, finisce – “Sull’albero” che per me è una rielaborazione in chiave Tognazzi di un’idea di Calvino 🙂 – se posso osare. – Mi piace di più la Fata legata alla realtà, che permette ai suoi protagonisti di sognare entro i limiti di un mondo fortemente marginato dal reale, più che la Fata delle favole, che affoga i suoi protagonisti dolenti nella speranza, ma i due estremi nelle storie di 80 lettere sono molto bilanciati e ce n’è per tutti i gusti. È un libro di racconti brevi molto leggibile, come sempre, per sentirsi forse tra quei pochi che gli piacciono le cose belle, corte o lunghe che siano 🙂
(Palmasco su Friendfeed)
Si può descrivere il libro di Mitia in due modi. Il primo è elencarne i titoli , i nomi dei personaggi, la lunghezza delle pagine.
L’altro è uscire per strada dopo averlo letto e scoprire che ogni cosa ha cambiato aspetto. Il venditre di rose ti ricorda subito il commissario, la signora al bar “Le genti sceme”, la ragazza che ogni giorno aspetta il bus sotto casa adesso “aspetta quel che deve arrivare”.
Perchè di questo sono fatte le storie di Mitia, della mia vita e della tua vita, delle nostre vite. E dopo averle lette diventano come delle lenti che svelano un mondo che non vedevi, questo cielo che “era grigio, ma non troppo”,”che l’amoere è energia, che sopravvivere non è vivere” e che i “sogni battono la paura”.
Regalatevi questo libro per vedere il mondo sotto altri occhi.
(s.b su Anobii)
Le ottanta lettere del titolo di questo libro di Mitia sono anche uno dei racconti dell’ebook, racconti malinconici molto spesso, ma a me malinconici piacciono perché mi immedesimo di più, per cui va benone.
Il primo racconto, l’eliminatore, è un fantasy, ed è anche uno dei miei preferiti, ma c’è anche il Terminale, che è un po’ sci-fi. Poi c’è il piccolo Doro, la povera Cesira, Giovanni il lettore della Trilogia, il 1985 (ecco, quello pure è un momento in cui mi ci sono ritrovato), il venditore di bibite e la Marisa, tanti personaggi che vivono storie normali, come quelle di tutti, ma non sempre subiscono, anzi più spesso provano a darsi da fare per cambiare il proprio destino.
Sono persone che conducono una vita tranquilla fino a che non capita qualcosa di eccezionale, e quel qualcosa capita, può essere una scatola trovata per caso, un pacco di lettere.
C’è uno stagno calmo, e una pietra buttata nell’acqua, e i racconti sono le increspature sulla superficie.
(Adamo Lanna su Anobii)
Un arcobaleno di emozioni, toccante, delicato e diretto al momento stesso.
Un coro di voci, tutte diverse, eppure coerenti in questo concerto fatto di diverse canzoni, in cui si passa dal sorriso al nodo in gola senza stonature, senza dissintonie, senza neppure rendersi conto che si tratta di racconti e non di un unico solo romanzo fatto d’umanità.
(Laura su Amazon.com)
Colpa mia che non ho scritto questa recensione appena “chiuso” questo libro, colpa mia che si vede che in quel momento ero in altre faccende affaccendato e mi sono limitato a mettere le cinque stelle.
Ecco, per punizione dovrei rileggere daccapo le Ottanta lettere.
Solo che così non funziona.
Perchè rileggere i deliziosi racconti di Mitia sarebbe tutt’altro che una punizione.
Riscoprire perchè ti piace il numero cinque, perchè vuoi bene al bambino invisibile o perchè vorresti curiosare nella scatolina è una fortuna, non una punizione, mi sa.
E poi risentire il cuore che batte con “Tutti i baci del mondo” è, addirittura, un privilegio.
La punizione, semmai, è quando finisce e ne vorresti ancora.
Anche se, in quel caso, puoi sempre ricominciare da capo.
(Chiagia su Anobii)
Ciccio ne parla qui su Permesola:
http://www.permesola.com/mitia-chiarini-virginia-woolf
0 Commenti.