Samopal sistemò il pacchetto sotto al deambulatore celeste e uscì dal centro sociale, tra un’ala di compagni che lo guardavano fieri e gli battevano le mani sulle spalle, per incitarlo.
Pina era l’ultima della fila del comitato di saluto.
“Piero, tesoro, vorrei vederti tornare”.
Pina gli disse quelle parole, a voce bassa, quasi vergognandosi. Sapeva che il suo Piero stava facendo qualcosa di importante, ma insomma, lei lo voleva veder tornare.
“Non mi chiamare Piero, dai. Vedrai che torno”.
Samopal, all’anagrafe Piero Panni, 73 anni, un passato in consiglio di fabbrica a Porto Marghera e poi il lavoro nel sindacato e poi quindici anni passati a lavorare in una cooperativa come impiegato, nell’entroterra veneziano.
Da tre anni era finalmente in pensione, con la minima.
Lui guardò la Pina con la faccia di chi sa che ha una missione da portare a termine e l’amore deve attendere.
Bella cazzata, pensò Samopal.
Ci aveva messo anni per arrivare alla pensione e accorgersi di amare la sua vicina di casa, la Pina. E adesso, in pochi minuti, chissà cosa sarebbe rimasto. Di lui.
Samopal si diresse con questo pensiero verso il cortile del centro sociale, camminando lento, tenendosi stretto alle maniglie del deambulatore. Sapeva perfettamente che gli altri, i compagni, lo stavano fissando.
E lui riusciva solo a pensare che, nonostante tutto, quei tre anni da pensionato, passati a casa, con una come la Pina a fianco, non erano stati affatto male. Perché dove la trovi una che quando la baci ha la bocca che sa di caco. E che se mangi il caco viene là e ti lecca la faccia, le dita, gli angoli della bocca, che lo vuole mangiare anche lei, ma non da sola, assieme a te, proprio. E allora il caco era diventato il frutto della sua ritrovata virilità a 70 anni, con la gioia di andar in doppietta a pochi secondi di distanza, che una come la Pina, cosa vuoi, era incontentabile. E Samopal pensò che tutto, alla fine, lo doveva avere un senso, anche se lui fino a quel momento non l’aveva capito bene e invece mentre camminava, passo passo, lento lento, tirando i manici del deambulatore, aveva chiaro che se stava facendo tutto questo, e aveva il coraggio di farlo, e si era cambiato il nome da Piero in quello di Samopal, era perché lui non si arrendeva.
Non si era arreso negli anni del consiglio di fabbrica, non si era arreso fino all’attività nel sindacato. Poi sì, l’aveva fatto. Si era stufato di quell’andazzo generale che i furbi sono i meglio e gli onesti sono solo coglioni.
Ma poi, con una compagna come la Pina vicino, tutto era cambiato e al centro sociale quando gli amici cominciarono a dire che qualcosa bisognava fare, che era ora e tempo di impegnarsi, lui e la Pina pensarono che era giusto agire e cominciarono a portare le giacche arancio, color del caco, che era il frutto del loro amore e del loro sesso, e se c’è, porcoquaporcolà, del sesso sano a settant’anni vuoi non poter fare quello che sto per fare io?
Samopal non si arrende.
Se l’era detto così tante volte in quei quindici giorni di preparativi, che, ricordarselo di nuovo, gli serviva per darsi la carica e camminare, mentre gli altri lo fissavano dal portone del centro sociale. Lo sapevano tutti che sarebbe andato, passo passo, lento lento.
Ci avrebbe messo il necessario.
Solo Pina non sapeva esattamente a fare cosa. Per carità lei sapeva che c’era un pacco da consegnare e che Samopal era stato scelto per la consegna e che dopo avrebbero tutti parlato di lui ma lei non sapeva esattamente cosa c’era nel pacco.
Sapeva a grandi linee ma Samopal quella mattina, quando lei gli aveva fatto un sacco di domande a letto, dopo avergli garantito un dolce ammainabandiera, non gli aveva spiegato tutto nei particolari.
Samopal lo aveva fatto non perché non si fidasse di lei, anzi, era la sua compagna, che è più di una moglie a pensarci bene.
Solo non voleva vederla piangere, perché anche le lacrime della Pina sapevano di caco e lui con il deambulatore davanti non avrebbe resistito e non si sarebbe messo a camminare.
La lotta richiede impegno, perseveranza e pure qualche bugia. Sì.
Samopal ci mise 45 minuti a percorrere il chilometro e mezzo che divideva il centro sociale dall’ufficio dell’Inps del paese. Quarantacinque minuti che passò a caricarsi come una molla, con la mente a ripensare a quegli ultimi anni, che non erano stati solo di amore ma anche di rabbia.
Con la pensione che doveva arrivare ai 67 anni e che venne posticipata per legge tre anni dopo, perché non c’erano più soldi nelle casse dell’Inps. Con una disoccupazione schizzata in alto e un paese in cui un italiano su due non lavorava e non erano solo giovani ma anche i cinquantenni a stare a casa senza prospettiva.
In quel 2022 gli anziani erano i più delusi, secondo i sondaggi, dal governo di salvezza nazionale che da dieci anni governava la crisi che doveva durare poco e invece era diventata la quotidianità.
Le elezioni non le volle nessuno perché c’era la crisi e le pensioni vennero congelate e c’era chi a 70 anni entrava in ufficio temendo l’infarto alla scrivania e se eri tra quelli che un lavoro non lo avevano più ti davi ai traffici al nero, di qualsiasi tipo, pur di campare.
Al centro sociale Scotti, non quello del riso ma quello del milionario, aperto dal Gianni che con la vincita alla nota trasmissione tv anni prima aveva rilevato la vecchia bocciofila, si erano ritrovati in tanti a cercare qualcuno con cui parlare. Perché erano anni silenziosi, di paura, di manifestazioni vietate e di governi che si rimpastavano di mese in mese ma non c’era uno straccio di consenso e allora la Pina, che era la sorella del Gianni, un giorno aveva portato il Piero, là, per fare una partita a carte e non stare sempre da soli, e lì il Piero aveva trovato alcuni vecchi colleghi di fabbrica e del sindacato, alcuni ancora iscritti al Pd e pure altri, che erano amici una volta e che poi erano diventati leghisti e poi erano rimasti anche loro delusi.
E quei vecchi si erano messi a parlare e lamentela chiama lamentela e fastidio porta rabbia.
E così si erano decisi, un giorno.
Bisognava far capire che così non si poteva andare avanti e allora Piero era diventato Samopal e chi è vecchio lo sa il perché.
E se bisognava lottare, Samopal pensò che doveva essere lui il primo, quello che doveva lanciare il segnale e altri poi sarebbero arrivati.
Ci misero quindici giorni a studiare come fare e cosa doveva fare Samopal e quel giorno, il 25 aprile del 2022, che era il giorno della Liberazione ma oramai da cinque anni non lo si festeggiava più perché c’era la crisi, il governo di salvezza nazionale e tutte le feste erano state bandite tranne il Natale e il 1 novembre, che i morti comunque van rispettati, lui, Piero, prese il pacchetto, lo infilò sotto il deambulatore celeste, passò davanti ai compagni schierati che gli davano pacche di incitamento, parlò alla Pina e uscì in strada. Era una bella mattina di aprile, fresca ma non fredda, assolata e il palazzo dell’Inps con le sue vetrate a specchio rifletteva i raggi del sole e Piero si guardò nella porta finestra dell’ingresso, vide riflessa la sua camicia arancione, pensò al gusto del caco, al sapore della bocca della Pina e tirò fuori il pacchetto da sotto il deambulatore.
Aprì il coperchio e la dentiera lo guardò dalla scatola.
Era composta da una base di plastico su cui erano stati posizionati i denti della vecchia dentiera del Gianni, che lui aveva deciso di donare alla causa. Il detonatore lo avevano posizionato sugli angoli, così quando si doveva muovere la bocca, lui scattava.
Ci avevano provato per giorni nel retrobottega del centro, mentre la Pina e le altre donne, vendevano torte fatte in casa e panini e bottiglie di vino ai clienti per sovvenzionare la causa.
All’idea dei denti e all’esplosivo ci aveva pensato il generale, che era un appassionato di storia della Prima guerra mondiale.
Samopal guardò la dentiera, alzò la testa verso il palazzo dell’Inps, fece cenno alla guardia giurata di aprirgli la porta. Quello stava guardando una puntata di un talk show in televisione e fece scattare la serratura, senza preoccuparsi. Samopal avanzò col deambulatore urlando “Merdeeeeeee, siete delle merdeeeeeee”.
Lo gridò tre volte prima che il vigilantes gli andasse contro urlandogli: “Nonno, basta! Non rompere”.
Samopal gli sorrise e dalla tasca della giacca arancione tirò fuori la dentiera e la infilò in bocca. Strizzò l’occhio alla guardia, chiese scusa alla Pina per la bugia, e chiuse di scatto la bocca, facendo sbattere i denti.
bellissimo, non ho altre parole
grazie Pino, detto da te è un onore 🙂
che bello, che magone.
ciao pepper, me sa che continuo 🙂
Chi va dicendo in giro
che odio il mio lavoro
non sa con quanto amore
mi dedico al tritolo,
è quasi indipendente
ancora poche ore
poi gli darò la voce
il detonatore.
Il mio Pinocchio fragile
parente artigianale
di ordigni costruiti
su scala industriale
di me non farà mai
un cavaliere del lavoro,
io sono d’un’altra razza,
son bombarolo.
Nello scendere le scale
ci metto più attenzione,
sarebbe imperdonabile
giustiziarmi sul portone
proprio nel giorno in cui
la decisione è mia
sulla condanna a morte
o l’amnistia.
Per strada tante facce
non hanno un bel colore,
qui chi non terrorizza
si ammala di terrore,
c’è chi aspetta la pioggia
per non piangere da solo,
io sono d’un altro avviso,
son bombarolo.
Intellettuali d’oggi
idioti di domani
ridatemi il cervello
che basta alle mie mani,
profeti molto acrobati
della rivoluzione
oggi farò da me
senza lezione.
Vi scoverò i nemici
per voi così distanti
e dopo averli uccisi
sarò fra i latitanti
ma finché li cerco io
i latitanti sono loro,
ho scelto un’altra scuola,
son bombarolo.
Potere troppe volte
delegato ad altre mani,
sganciato e restituitoci
dai tuoi aeroplani,
io vengo a restituirti
un po’ del tuo terrore
del tuo disordine
del tuo rumore.
Così pensava forte
un trentenne disperato
se non del tutto giusto
quasi niente sbagliato,
cercando il luogo idoneo
adatto al suo tritolo,
insomma il posto degno
d’un bombarolo.
C’è chi lo vide ridere
davanti al Parlamento
aspettando l’esplosione
che provasse il suo talento,
c’è chi lo vide piangere
un torrente di vocali
vedendo esplodere
un chiosco di giornali.
Ma ciò che lo ferì
profondamente nell’orgoglio
fu l’immagine di lei
che si sporgeva da ogni foglio
lontana dal ridicolo
in cui lo lasciò solo,
ma in prima pagina
col bombarolo.
Ciao 🙂
Praticamente non faccio che commentarti con il testo di questa canzone, è indicativo ‘sto fatto 😯
grazie baol 🙂
che donna che sei!
Bellissima Mitia, io aspetto il continuo però 🙂
Silvia cara, sì ci sto pensando 🙂
dud!