Alfio se lo è visto passare davanti mentre tirava il cavo del secchio della malta, su, fino al terzo piano, dove stava lavorando. Ha sentito un colpo sulle assi di legno del piano di sopra, neanche forte, e poi è arrivato lo spostamento d’aria, come di un sacco di malta che cade.
E l’ha visto, Martino, che cadeva. La testa in basso, le gambe in alto, le mani si muovevano nell’aria a cercare un appiglio.
Non ci sono appigli quando cadi da un palazzo, da 50 metri d’altezza.
Alfio la sogna spesso la faccia di Martino mentre cade. Si sveglia urlando e poi si vergogna, che a 50 anni pisciare a letto è roba da malati di mente. Non da bambini.
Sua moglie si sveglia con lui, di soprassalto. Lo guarda e non gli dice niente. Va a prendere le lenzuola pulite e toglie il piscio dal materasso con lo straccio e la candeggina.
Alfio è convinto che nel momento in cui Martino gli è passato accanto, prima di cadere come un sacco di malta sull’asfalto del parcheggio, lui, il ragazzino, l’ha guardato. I loro sguardi si sono incrociati in quel secondo. Alfio stava fermo, con la bocca spalancata. Martino cadeva giù, con un urlo breve, che si è fatto subito silenzio.
Alfio lo ha detto ai compagni del cantiere. Lo ha detto agli ispettori dello Spisal, anche alla psicologa dell’Asl. Si è domandato per giorni se Martino mentre lo guardava ha provato a dirgli qualcosa. Lui non ha sentito.
Alfio spera di sognare ancora Martino e sentirlo parlare. Poi mette le lenzuola sporche di urina in lavatrice.
Nel sogno, sempre lo stesso, non cambia nulla. Martino cade, lo guarda, e non dice niente. La risposta non c’è per chi cade e per chi resta al terzo piano, con la corda del secchio della malta in mano e spera di veder, dopo il tonfo come un sacco di malta, quel ragazzino alzarsi e ridere.
Invece c’è quel filo di sangue, che esce dall’orecchio e dal naso, e lentamente sporca l’asfalto e l’anima ( se c’è, perché Alfio adesso se lo chiede, se c’è) di chi resta diventa pesante come malta. Non ci sono attenuanti, non ci sono spiegazioni, oltre gli sguardi bagnati di lacrime, per dare un motivo al fatto che un pomeriggio assolato di settembre, che sembra ancora estate ma c’è quel vento garbato che dice che l’afa è passata e si può lavorare senza aver paura di un giramento di testa, lassù, un ragazzino sale al quarto piano e si mette a tirar cavi e poi…E poi cade. Inciampa in uno stupido tubo di gomma e casca giù.
Cadere dal quarto piano di un palazzo non è volare. I giornali dovrebbero smetterla di titolare: “Vola giù dal palazzo” e Alfio glielo ha urlato al cronista del giornale quando è arrivato dopo le ambulanze e le sirene della polizia.
Volare significa andare su, mettersi allo stesso livello di alberi e gabbiani. Martino è cascato giù, si è messo al livello dell’asfalto del parcheggio del condominio in costruzione.
Alfio bestemmia tanto adesso. Bestemmia quando vede i sacchi di malta, quando tiene in mano un tubo di gomma. Bestemmia verso la croce donata dal parroco e appesa alla porta del cantiere. Dio aiuta, gli aveva detto il prete. E Alfio, ogni volta che ci passa davanti al Cristo, gli urla contro una raffica di insulti come fosse una sparachiodi.
Alfio odia anche il mese che più amava, settembre. Una bestemmia ogni colpo di vento. Perché, a settembre di sei anni fa, in cantiere, è morto un ragazzino di 19 anni, al suo secondo giorno di lavoro. Inciampato in un tubo di gomma, che non doveva stare lì.
in poche righe riesci a rendere mille emozioni :*
Io non so usare le parole bene come te e quindi non so descrivere come questo racconto mi faccia stare. Però grazie di averlo scritto! Anche se mi hai fatto piangere…
Ci sono racconti tuoi che preferisco e amo più di altri e questo è uno di quelli. Perché va dritto dove deve andare e colpisce il segno, senza sbrodolature, senza giri inutili, senza retorica.
Prende la gola ed il cuore: si riconoscono tutti i muratori e garzoni del mondo!
grazie
http://vorreiessereunbaol.blogspot.com/2008/12/ferite.html
Belli i tuoi racconti, scrivi bene, molto direi.
Ma un palazzo di cinque piani son quindici metri circa, non cinquanta, i particolari sono importanti.
Un saluto.
vero, i dettagli sono importanti.