I provvedimenti del caso

“Rossaaaaaaa! Vedi che adesso ti fregano? E ti mettono in cella con me. Te l’ho detto… non ti conveniva parlarmi”.

Gino Frescobaldi, da dietro le sbarre, nella sala grande dell’aula bunker, scoppiò in una fragorosa risata. Il pubblico del processo a suo carico per vent’anni di associazione a delinquere di stampo mafioso, si girò verso la gabbia dei detenuti. Lui sfidò lo sguardo di tutti e tutti girarono la testa, di scatto, intimoriti, cercando la protezione della corte.

Il giudice Sangrilà stava parlando e per sovrastare la risata di Frescobaldi, dovette mettersi ad urlare. La corte, disse sbattendo il pugno sul  tavolo,  non aveva permesso alcuna ripresa e tanto meno interviste ai detenuti nella pausa del processo e quindi quei giornalisti, visti dalle guardie carcerarie intervistare il boss, dovevano essere tutti identificati dal maresciallo dei carabinieri per i provvedimenti del caso.

Frescobaldi salutò l’annuncio del giudice, ridendo di nuovo e voltandosi per prendere in giro a distanza Sandra Franti, la giornalista della tv privata Canale 99. Lei nel frattempo, nervosa, cercava di nascondersi tra il pubblico; il microfono portatile dentro la borsa.

Sandra era andata spavalda verso di lui, nella pausa del processo, per chiedergli cosa pensava del pentimento del suo ben più famoso compagno di scorribande in giro per il Veneto, il Marco, il boss dell’unica mafia non meridionale che si sia mai vista in Italia. Strano posto il Veneto. Tra polenta e scampi crudi, mentre si dava dei terroni ai napoletani che  lavoravano a Porto Marghera con le paghe conglobate, ci si era ritrovati a convivere con una mafia casalinga, mica foresta, nata nelle campagne tra Padova e Venezia, alimentata da fiumi di eroina e cocaina da piazzare per i festini tra Porsche e prosecco; praticata con il gergo della campagna e i continui favori del capo verso i compaesani più poveri. Prestiti, telefonate a medici compiacenti per facilitare una visita e posti di lavoro presso la rete di imprenditori taglieggiati.

Tanto che alla fine i vicini di casa, il Marco lo consideravano un santo, meno ammuffito e più immediato di Sant’Antonio da Padova.

Ma per ogni beneficenza, dagli anni Ottanta, in cambio, c’erano state rapine, rapimenti, omicidi, traffici di droga, estorsioni, vendette.

E il Veneto aveva scoperto, oltre al sesso a pagamento, pure il crimine.

Frescobaldi davanti a Sandra aveva fatto il duro. Aveva stretto gli occhi che erano diventate due fessure. “Sai cosa meritano le galline? _ le rispose evitando di guardar il microfono che lei gli puntava contro _ Di essere inculate. Beh aspetta che esco da qui, e vedi, rossa,  come me la inculo quella gallina”.

Poi non disse altro. Altri giornalisti avevano visto la Franti intervistare Frescobaldi e si erano lanciati per non perdere l’occasione, ma lui davanti alla decina di microfoni e telecamere che gli erano piombati addosso, disse alle guardie carcerarie che lo stavano infastidendo.

“Sandra è meglio se sparisci. Passa per il bar e vai via che oggi hai già fatto abbastanza casino qui”.

Il commissario Santi si era seduto dietro a Sandra e le  aveva appoggiato la mano sulla spalla. “Vai via, per favore”.

Lei si girò di scatto. Stava pensando alle parole del giudice e agli occhi chiusi a fessura di Frescobaldi.

Dicevano in questura che quando il Gino appoggiava la mano al fodero della pistola faceva così. Rideva e stringeva gli occhi. Guardava avanti a sé da due fessure. “Appena tocca il fodero, sei morto”, le aveva detto un amico poliziotto, oramai in pensione.

Risata, fessura, bang, morto.

A Sandra quella sequenza metteva i brividi e gli sembrava che i capelli sulla nuca gli si erano alzati per la paura. Quando vide lo sguardo affettuoso di Santi che le diceva di sparire, lanciò una occhiata a Michele, il cameraman, e si diresse senza indugi al bar.

Ma non prese niente, passò dal retro, corse verso la macchina della tv e mise in moto. “Via, in redazione”, disse a Michele che la guardava allibito. “Se restiamo qua, ci denunciano”.

Due settimane dopo in redazione, sul tavolo di Sandra la segretaria lasciò una lettera.

Il mittente era uno studio legale di Noventa Padovana. Sandra lo conosceva perché era lo studio che difendeva Frescobaldi e quelli della sua banda. Dentro la busta,  due fogli. Sul primo poche righe, scritte a penna, dall’avvocato Andreasi.

“Le invio una missiva per conto del mio assistito. Le chiedo di non renderla pubblica, visto che si tratta di comunicazioni di carattere personale. In caso contrario, saremo costretti a prendere i provvedimenti del caso”.

Era la seconda volta in due settimane che Sandra sentiva quelle parole.

I provvedimenti del caso. Ma il caso inteso come evento fortuito, senza motivazioni, quando hai a che fare con giudici e avvocati significa solo denunce e cause. Sandra pensò a come certe parole, quasi avventurose e piene di ipotesi, servivano solo a far intendere la certezza di una sequela infinita di casini, udienze e spese legali. Odiava il “formalese”. La chiamava così la lingua dei burocrati. Paroloni, ridondanti, gonfi di aria, usati solo per fartela pagare.

Prese il secondo foglio, era bianco. Non c’era scritto niente.

Ripensò alla risata di Frescobaldi. Fessura, bang, morto.

La stava prendendo in giro. Rimise i due fogli nella busta e la gettò nella borsa. La sera a casa, dopo cena, si ritrovò ancora tra le mani la lettera dello studio legale. La lesse di nuovo e girò il foglio bianco tra le dita. Frescobaldi le aveva mandato un avvertimento. “Mi vuole dire che non scriverò più”, pensò. Non si sarebbe lasciata intimidire, per così poco. Il giorno dopo avrebbe parlato al direttore, avrebbe pure chiamato il commissario Santi per informarlo e poi avrebbe telefonato ad Andreasi per dirgliene quattro.

Si sentì così più rilassata, prese una sigaretta e la accese usando il fuoco della candela alla citronella, che stava sul tavolino del salotto, e nello sporgersi con il foglietto in mano, per accendere la sigaretta, ebbe l’intuizione.

Mise la carta davanti alla fiamma. Era inchiostro simpatico. La calligrafia di Frescobaldi prendeva forma. Lui le aveva scritto usando una sostanza trasparente, del latte o del limone. Come si faceva da bambini, quando ci si doveva passare i segreti. Davanti alla fiamma, cominciò a leggere.

“Mia cara signora, scribacchina da due soldi, ho visto, grazie alle guardie, la replica del servizio che lei ha fatto durante il processo.  Non ho visto traccia della mia intervista. Evidentemente, la sua redazione ha pensato di portare rispetto al giudice e di non mandarla in onda. Peccato.

Marco doveva sentirmi. Io, prima o poi, me lo inculo. Col ferro.

E lui lo deve sapere mentre si sta gustando i suoi scampi crudi da qualche parte. Lei ha fatto la figura della donna per bene, che  rispetta le regole, mia cara signora dai capelli rossi. In altre occasioni la inviterei a cena per spiegarle che le regole sono inutili. Le fanno sapendo che saranno aggirate. Tanto vale, fregarsene.

Le metterei davanti, tra il piatto e il bicchiere, il ferro e le chiederei di ripetermi, guardandomi in faccia, che sono uno spietato, come ha detto nel servizio. Anche Marco lo è, solo che lui ha trovato il mezzo per esercitarsi senza sporcarsi le mani.  E adesso che si è pentito, si sente amato. Per me la cattiveria è un lavoro. Il ferro per me è come la macchina da scrivere per lei, signora. E’ un mezzo. Per intimorire, convincere, parlare, avere. 

Io con l’amore mi ci pulisco il culo, signora. Quindi la sua morale del cazzo, se la tenga per lei. 

La pietà l’ho persa, trent’anni fa, quando hanno ammazzato mio fratello, solo perché non aveva pagato la sua dose di eroina. L’ho visto morire senza un gemito, senza un ciao, senza un per favore, no. 

Andai da Marco e gli dissi che sapevo sparare, lui mi mise subito alla prova. Mi mandò in strada e mi disse di uccidere il mio cane. Io strinsi gli occhi e sparai. Neanche lui, Bubo, ha avuto il tempo di dire per favore, no. E’ lavoro, i sentimenti non c’entrano, signora. Quindi neanche a lei darò il tempo di chiedere per favore, no. Queste righe restano su questo foglio. E se le vedo altrove, prenderò i provvedimenti del caso. 

Cordialità

Gino Frescobaldi.

 

Sandra stropicciò la lettera tenendola stretta dentro il pugno e spense la fiamma della candela.

Risata, fessura, bang, morto.

(post scriptum: nomi e storie sono di pura invenzione, il Veneto malavitoso degli anni  Ottanta invece  è una realtà) 

 

  1. mastrangelina

    è brutto che ti scrivo sempre che sei bravissima, il fatto però è che lo sei. Complimenti.

  2. Gustosissimo… vien voglia di leggere il seguito. Lo scrivi?

  3. michiamomitia

    sì può fare 🙂

  4. Mircodistri

    Pensavo avessi buttato la penna per il troppo caldo, aspettavo qualcosa di sbalorditivo ed invece, risata, fessura, bang … un altro capolavoro più che sbalorditivo! Scrivi anche il seguito ma vedi di non farci aspettare troppo o di morti da ferro ce ne saranno troppi in giro. Un abbraccio e complimenti ancora. Mirco

  5. davvero notevole! spero anch’io in un seguito. Baci.

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