Le giuro, signor commissario, che non è come pensa lei, io quell’uomo non lo conosco.
Ah, lei sa che ci ho vissuto assieme due anni. Gliel’ha detto la vicina.
750 giorni, commissario. Abbiamo vissuto assieme due anni e venti giorni, esatti.
Ecco, io so chi è, ma quando è successa quella cosa lì, io non lo sapevo, quindi se non sapevo chi era come faceva ad esserci intenzione da parte mia?
Non mi crede, lo leggo nei suoi occhi.
E del resto, in condizioni normali farei fatica a crederci pure io,
se non fosse che è capitato proprio a me e quindi le posso testimoniare che è tutto vero.
Ho agito con dolo, lei dice.
Dolo è un paese vicino a casa mia, commissario. Ci volevo comprare casa, anni fa. Perché c’è il fiume. Mi viene da sorridere a sentir come lo pronuncia, commissario, Dolo, ma lei ha la faccia dura di chi ha deciso che io ho torto e vado punita.
Che mi vuole mandare in galera? Aspetti, non corra subito alla soluzione.
Le cose sono andate in modo diverso da come le vede lei, mi lasci almeno provare a raccontarglielo un’altra volta.
E stavolta lei mi deve seguire bene, con attenzione.
Non si fermi alle evidenze, vada oltre per una volta. Provi ad immaginarsela la scena di quella cosa lì.
Allora, io ero in macchina, ferma all’incrocio.
La radio trasmetteva “I’m on fire” di Bruce Springsteen. Bella canzone, vero?
Ah, a lei non piace Springsteen. Strano, è la prima persona che sento dire una cosa del genere. Comunque, dire
quel che ci piace o meno non ci porta diritti in galera, per ora. Niente sarcasmo, ok.
Allora, dicevo. Ero ferma al semaforo, c’era il rosso. Poi è scattato il verde. Ho girato l’occhio verso sinistra mentre facevo la curva per svoltare alla prima traversa a destra e allora ho visto quell’uomo passeggiare sull’altro lato del marciapiede con il suo cagnolino, al guinzaglio.
Chi era? Non lo so mica. Aveva una faccia anonima, di quelle che ti passano davanti tutti i giorni centinaia di volte e non ti provocano
manco un oh di interesse. Nessun effetto, glielo posso assicurare.
Perchè ho girato la faccia verso di lui, allora? Non lo so. Non riesco a darle una motivazione, è solo successo. Forse volevo vedere se la vetrina del negozio di scarpe era stata messa a posto, che la settimana prima i ladri hanno sfondato il vetro per portarsi via la cassa. L’ho letto sul giornale.
Sì, deve esser stato per quello che ho girato la testa. Ma non c’è stato un pensiero a dettare il movimento, gliel’ho detto che stavo cantando. Sì, cantavo Springsteen. Quello che a lei non piace.
Ho guardato l’uomo, poi la vetrina e niente, ho girato l’occhio verso destra e ho visto la ruota della bicicletta sulle strisce pedonali. E allora per evitare di finire contro la bicicletta, ho sterzato tutto a sinistra e il sobbalzo della ruota della macchina sul marciapiede
è arrivato subito e mi ha sorpreso per la fretta che ci ha messo e non sono riuscita a frenare, il volante vibrava tutto e io non lo tenevo.
Poi ho sbattuto contro l’angolo del negozio di scarpe ed è scoppiato l’airbag. Un paio di minuti sono rimasta con gli occhi chiusi, a sentire il mio respiro, muovendo le dita dei piedi per capire se ero viva o stavo andandomene all’aldilà.
Non c’era alcun tunnel di luce ma solo nero nei miei occhi e allora li ho aperti e ho alzato la faccia dal volante e ho visto un sacco di gente che guardava dentro dal finestrino e un signore che provava ad aprire la portiera della macchina e poi ho visto quell’uomo a terra, che urlava, che si teneva la gamba e mi urlava contro che ero
una bastarda.
Ma glielo giuro, neanche in quel momento, l’ho riconosciuto. Non vedevo altro che la bocca aperta che potevo veder l’ugola vibrare e poi il fondo nero da cui usciva quella voce rancorosa. Nessun tunnel di luce. Mi son detta che era meglio aspettare prima di scendere.
Lei continua a guardarmi con la faccia di chi non crede per niente a quello che dico, vero?
Ero dentro la macchina, mi toccavo la fronte, che era tutta sudata e fredda, e mi guardavo le gambe.
Quell’uomo invece steso sul marciapiede continuava a tenersi il ginocchio e a rotolare.
Poi è arrivata l’ambulanza, ho sentito il rumore della sirena e subito dopo era a fianco della macchina. Allora ho alzato la sicura della porta e ho fatto per scendere dalla macchina.
“Barbara sei una stronza, io ti rovino”, ha urlato quello a terra
e mi son fermata lì con una gamba giù e l’altra dentro la macchina a fissare quello sconosciuto che sapeva perfettamente come mi chiamavo. E l’ho fissato, perché volevo capire come aveva fatto a dire un nome a caso, azzeccando il mio. Ed è stato allora, che ho intuito in quel suo modo di scandire le lettere che compongono il mio nome, qualcosa di assolutamente familiare. E fastidioso.
Solo allora ho visto Paolo, l’uomo con cui ho vissuto per due anni. Son passati sette anni, commissario, non un giorno. Le persone cambiano, lui poi adesso è praticamente calvo e porta gli occhiali. Anche io sono diversa, sono dimagrita dieci chili.
E’ successo che mi sono dimenticata di lui. Sì. Questo le sto spiegando. Le pare impossibile… Anche a me pare incredibile che a lei non piaccia Springsteen, dottore.
Sette anni e non mi sono mai fermata una volta a pensare alla sua faccia. Mai una volta l’ho sognata. Lui nei miei sogni, all’
inizio, c’è capitato ma non aveva mica volto. Succede. Mi sono dimenticata di lui, della sua faccia e del suo corpo.
Del resto, non ne sento assolutamente la mancanza.
Solo la voce, quel modo fastidioso di scandire il mio nome, quello che utilizzava quando doveva rimproverarmi, e le assicuro che capitava tutti i giorni, non l’ho mai dimenticato. E solo quando mi ha urlato contro , l’ho riconosciuto.
E’ andata così.
Non c’era giorno, in quei 750, dottore, che non partisse la critica, per qualcosa che facevo o non facevo.
Non c’era volta in quei due anni e venti giorni che ho vissuto con lui, stirandogli le camicie e preparandogli la colazione, che non mi trovasse imperfetta.
750 giorni, dottore, di recriminazioni, critiche e sfottò. Per come ero, per come volevo essere.
Li ho contati, sì, i giorni che ho passato con lui.
E quindi se ricordo, lei dice, c’è stata eccome intenzionalità da parte mia. Potevo far a meno di sposarmi, eh? Ma guardi che l’anno che abbiamo passato da fidanzati, prima del matrimonio, Paolo mica era così. Anzitutto il mio nome lo sussurrava, ansimandomi sul collo e chiedendomi se gliene davo ancora…Poi era gentile, veniva a prendermi al lavoro. Si andava al cinema, poi in pizzeria e poi a far l’amore in Riviera del Brenta, in uno dei tanti punti poco illuminati della Statale. Lui preferiva farlo vicino alla villa La Malcontenta, che gli piaceva tanto. Mi diceva anche che un giorno me l’avrebbe comprata. E sussurrava il mio nome, baciandomi il collo, prima di aprir la portiera e lasciarmi davanti casa. Poi, da sposati, siamo andati a vivere assieme in un appartamentino in centro. E io mi sono accorta subito che non era mica l’uomo che veniva a prendermi al lavoro, che mi trovava irresistibile e unica. Non sapevo mica chi era quell’individuo che mi trovavo attorno. Ha cominciato a guardar tutto quello che facevo, a criticare ogni gesto. Sussurri? Manco un fiato sporco di vino. Ho resistito, gli ho dato il beneficio del dubbio; ho pensato che anche per lui, abituato a star da solo, era difficile all’inizio vivere in due.
Poi, alla fine, non ce l’ho fatta più e l’ho cancellato.
Puff, via. Sette anni di pace.
Insomma, con tutta la fretta che ho avuto di dimenticare il mio ex marito dovevo andare ad incontrarlo ad un incrocio,
mentre sterzavo per evitare di investire un ciclista. Se è successa quella cosa lì, è solo colpa della sfortuna.
Nessun dolo, nessuna intenzione. Solo sfiga.
Rida pure, dottore. Lo sfortunato è il poveretto che ho investito.
La pensi come vuole, lei che pretende di essere capito per la sua totale mancanza di orecchio musicale, visto come mi tratta
Bruce Springsteen.
Lei dice che se la passa peggio quell’uomo, con il bacino fratturato. Sicuro? A lui basterà un gesso e un pochino di fisioterapia per riprendersi.
A me, invece, ci pensi un attimo, lei che è così certo di tutto, chi è che mi ridà due anni e venti giorni di vita?