-Psss, pss…sei sveglia? Dai, svegliati, che mi sento sola…
Ho aperto gli occhi di scatto. Nel letto non c’è nessuno. E allora da dove viene quella vocina. Mi sono stropicciata gli occhi e poi mi sono rigettata sul letto, ridendo dei miei sogni strani. Che io quando sogno lo faccio bene, con i colori e i dialoghi e tutto quello che serve a rendere ogni sonno un viaggio dormiente. Anche se poi ricordo poco.
– Oh, ci sei. Senti, parliamo un pochino?
La risata mi si è strozzata in gola. Ancora? Quella vocina è arrivata diritta dentro il padiglione auricolare, l’ho sentita perfettamente.
Ecco, è la follia. Comincia così, dal sentir le voci e, poi, finisce che diventi come l’Amalia Muniega, sola e barbona a parlar con i treni che passano in stazione e a chiamarli per nome. Ostia, se è la follia, è un bel casino da gestire. Ti modifica la faccia e il corpo e ti ritrovi sola, e brutta. Perché solo Remedios muore sola ma verde e bellissima e piena di polline che attira le farfalle…La pazza, qui, lontano chilometri da Gabo, finisce come l’Amalia, sola, barbuta, con le scarpe da alpino e il cappotto militare, a parlar coi treni.
-No, non sei matta…Sono io che non ti ho parlato mai, finora.
– Io chi?
– Io.
– E dove saresti?
– Qui.
– Qui dove, che in questa camera non c’è nessuno.
– Sotto il piumone.
Allora, ho preso la coperta, l’ho gettata in aria con un misto di paura e curiosità e non c’era niente. Ci sono solo io, con le mie gambe stese sul materasso e nient’altro se non il lenzuolo. In fondo al letto, le mutandine, tolte prima di addormentarmi che mi davano fastidio.
– Le mutande parlano?
– No, sono io…insomma ma non mi senti?
– Ti sento eccome.
– Sopra le tue gambe…
Allora con uno scatto mi sono seduta sul letto, e ho guardato la pancia. Niente. E con le mani mi sono toccata la pelle perché ho avuto paura che a parlare fosse una qualche bestia infettiva. Come la mosca. Oddio, se è la mosca svengo, quella che con le radiazioni nucleari si è fusa con un uomo, diventando una roba orrenda.
– Certo che ne spari di cazzate, eh
– Qualificati, invece; esci allo scoperto, stronzetto!
– Prego stronzetta, semmai.
– In effetti, mosca è femminile. Ma…
– Basta, guardati tra le gambe. Dai, non è difficile…cosa c’è?
– La pancia.
– Quella è sopra, io dico sotto.
– Il pelo.
– Sì, che nero! Ok, quello c’è, ma dico sotto, tra l’incavo delle gambe.
– La vagina?.
– Ecco!
– Ecco, cosa?
– Sono io!
– Io, chi?
– La vagina.
– Ma chi sei? Ma mi fate gli scherzi?
E ho cominciato a far volare tutto: il piumone, i cuscini, il lenzuolo, via le ciabatte. Sono scesa dal letto e mi sono messa a guardare dentro le lampade sui comodini, dentro i cassetti. Alla caccia di un fantomatico microfono nascosto.
– Che cerchi?
– Ohhhhhh, ma basta con questi scherzi cretini!!! Tirate fuori il microfono, vi ho scoperti.
– Ma se siamo solo io e te, qua.
– Non è pos-si-bi-le!!! E’ solo uno scherzaccio di pessimo gusto.
– Io non scherzo e non sono manco di pessimo gusto, scusa.
– Dammi una prova.
– Ma che prova vuoi?
– Dimostra che sei tu, davvero.
– Io e te andiamo d’accordo, da sempre.
– Non basta.
– La prima volta che mi hai sentito davvero è stato per colpa dei capelli della Barbie sposa. Te la ricordi?
– Ehm…
– Specifico?
– Lasciamo perdere. Mi hai convinto. Come mai mi parli? E’ la follia, vero?
– No, per carità. Mi sentivo sola.
– Ah!
– Sì! A te non capita?
– Certo che mi capita. Ma mi pare, che nonostante tutto, io mi impegno per non farti sentire sola. Ecco, non vorrei che proprio tu venissi a farmi la paternale sul fatto che sono single ancora, eh. Che oggi, con tutti ‘sti scossoni mentali, una tiritera su sta cosa, no…
– No, non è quello. Non è per il sesso.
– Ecco, niente recriminazioni.
– E chi recrimina…E’ che mi manca qualcosa.
– Sì, lo so.
– Ma mica è quello che pensi te. Cretina.
– Beh se parlo con te, diciamo che sono sulla buonissima strada per sentirmi tale.
– Uffa, a me manca una amica.
– Come, come?
– Una amica, una con cui confidarmi e dirgli tutto. E ridere di quel che penso.
– Te non pensi, dimentichi che il cervello non sta in mezzo alle gambe.
– Che c’entra , scusa? Io con quello fatico ad andar d’accordo e lo sai. Lui dice sempre quel che è giusto o no, quel che si fa o no. Poi grazie a me, ripeto grazie a me, se la spassa e va in estasi. Ecco, io voglio sentirmi importante e allora ho pensato che voglio una amica.
– Sei lesbica?
– Noooooooo.
– Ma io sono piena di amiche, che mi vogliono bene, e a cui racconto anche i sobbalzi più intimi che fai. Non diciamo cazzate, per favore.
– Sì, ma lo dici tu…e io invece a chi lo dico? Rivendico il diritto di farmi capire.
– Te ti fai capire benissimo.
– Non è lo stesso. Io voglio urlare di gioia e dirlo che quando sto bene, non mi sento più relegata in mezzo alle tue gambe, lì in basso. Voglio dirlo che sono gigantesca e morbida che potrei arrivare all’altezza del cervello e farlo stare zitto di paura, con i suoi si fa e non si fa, si deve e non si deve. Perché avrebbe paura di me, io sono immensa.
– Beh, insomma.
– Non è una questione anatomica ma di sensazioni.
– Sì, ho capito. Ma scusa, il problema è che non urli?
– Il problema è che non so con chi urlare!
– Ma come? Quando succede, urla, con me. Ma scusa, ti ho mai trascurato? Fatto mancare qualcosa? Non capisco.,,
– Che fai? Gridi all’ammutinamento?
– Ahhahahahah, adesso chi è la cretina?
– Io voglio potermi confidare con qualcuno, senza che il cervello sappia.
– Beh, lo fai con me.
– Ma te col cervello ci hai a che fare tutti i giorni…
– Se è una questione di gelosia, parliamone.
– E’ una questione di priorità. Chi ti fa stare bene? Io!
– Eh, lo so questo.
– E allora? Perché non sei mia amica?
– Ma te sei pazza, io amica tua lo sono eccome. Mi preoccupo che tu stia bene, che non ti capiti niente di male, che tu possa esprimerti al meglio. O no? Vedi che sei qua per recriminare e basta?
– E’ che poi a comandare è sempre è lui, il cervello.
– Beh, ovvio…
– No, rivendico la mia importanza nella tua vita. Almeno al pari suo. Vedi che sei amica sua di più? Lui ti dice quel che è giusto o no, e tu lo segui. Invece, a volte, il giusto che penso io tu non lo consideri.
– Lo dici. Ma decido io.
– Pensi sempre siano gli ormoni, e invece sono io!
– Sei una rompiballe, lo sai?
– Sì, come te.
– Vero, ma io non so mica se tu hai sempre ragione.
– Lui invece è infallibile, ho visto.
– Beh, a volte ha fatto cilecca. Capita a tutti.
– Io non ho mai fatto cilecca.
– Boriosa.
– Stronza.
– Ti metto alla prova un mese.
– Sì, ma dopo? Che fai, mi butti via?
– Scherzi?
– No.
– Ussignur…Visto che ci parliamo te lo devo dire. Io con te sto benissimo. Se rinascessi, rinascerei donna e rivorrei te.
– Non mi vorresti diversa?
– No.
– Non mi vorresti meno indipendente?
– No.
– Anche io non vorrei un altro corpo. Cioè…magari ti vorrei un attimino più figa, ma sostanzialmente mi vai bene. Mi hai sempre trattato bene. Non mi hai mai trascurato.
– E allora vedi che ti sei lamentata per niente.
– No, avevo bisogno di farmi sentire, di prendere posizione. Tu lo fai sempre, per una volta che lo faccio io…ti incazzi. Ma non mi fai paura! Rivendico il mio diritto di pensare al posto di quello lì, il cervellone.
– Ripeto. Ti do un mese.
– Ok, ti faccio vedere io.
– Adesso che si fa?
– Un bidet?
– Bon.