Posso scalciare quanto voglio, puntare i piedi, tener il muso al mondo, guardar gli altri con un occhio incazzoso. Non ci sei.
Non posso schioccare le dita e vederti bussar alla porta con quel mazzo di margherite o girasoli che ti piaceva tanto regalarmi.
Perché non ci sei.
E manco è colpa tua, con te non mi posso incazzare, se non ci sei.
Quanta incredibile semplicità c’è in queste tre parole. Se penso a quanto è pesante la tua assenza sulle mie spalle, mi stupisco che tutto si spieghi con quelle otto lettere. E’ tutto lì.
In otto lettere, l’assoluta negazione della tua presenza nella mia vita.
Me ne rendo conto, sai, su questa autostrada, in procinto di andarmene. Ma io ritorno, tu no. Non ti è consentito, a me la scelta invece di decidere se ripercorrere questo asfalto grigio all’indietro e tornare a casa.
So perfettamente riconoscere il punto dove per te si è fermato tutto, ma preferisco uscire al casello prima, per non vedere. Non posso farcela, e non mi consola sapere che io ci sono.
Ho rivisto tua madre, ieri, erano anni che non ci vedevamo. Ho visto i suoi occhi stupirsi nell’incrociare il mio sguardo sul marciapiede vicino alla piazza. Si è fermata, mi ha salutato e abbracciato, poi mi ha accarezzato. Mi ha detto: sembri ancora una bambina. Non l’aveva mai fatto, lo sai, l’accarezzarmi.
E io ho sentito un solo bisogno: andarmene.
Aveva gli occhi lucidi, era contenta di rivedermi dopo tanti anni. La tristezza che le avevo visto addosso l’ultima volta che ci siamo viste è diventata come la veletta fumée di un invisibile cappello.
Ho trovato una scusa, la prima e più banale ,e me ne sono andata.
Vedendola, mi è tornato nitido il ricordo di quel che abbiamo fatto. Quel che lei mai saprà. Era giusto farlo, non mi pento.
Si doveva fare, solo che poi si vive da ignobili. E noi, le tue custodi, alla fine ci siamo perse e non ci vediamo più. Sta nelle cose. E’ il peso da portare, ne sono certa.
Quando tutto è successo, abbiamo agito da bestie ferite, avevamo la pancia squarciata dalla tua assenza, volevamo solo proteggerti perché tu non potevi più difenderti da solo. Ci interessava solo custodirti.
Abbiamo finito con il cancellarti.
Ci siamo chiuse in camera tua, dove con te cantavamo, si parlava d’amore e di sesso, si sognava di girare il mondo e si giocava all’impossibile.
Sapevamo dove mettere le mani, sapevamo cosa cercare. E il dolore si è fatto urgenza: muoviti, nascondi, togli questo, togli quest’altro. O dio, le foto…via le foto, via le lettere, via tutto.
Poi, a casa vomitai tutta la notte. Mamma pensava fosse il dolore di averti perso, io sapevo che era anche la vergogna di aver contribuito a cancellarti a far reagire così il mio apparato digerente. Che da allora mi ha punito.
E così quando ieri ho rivisto tua madre, io mi sono risentita colpevole. Mi è tornato il mal di pancia e sono salita in macchina. Via, a guidare, non pensare, anestetizzare.
Tu non potevi più difenderti da solo, dovevamo farlo noi per te.
Che scusa del cazzo che è oggi questa, noi dovevamo custodirti ma non cancellarti. Eravamo ragazzine, avevamo paura di quello che sarebbe successo. Temevamo non sarebbero mai venuti a baciare la tua foto sulla lapide, se avessero saputo.
Il risultato è che loro vengono a baciarti tutte le settimane, io arrivo ogni anno a San Valentino davanti al cancello del cimitero e mi vergogno di entrare.
Porto il peso, cerco di non pensarci ma poi basta un piccolo gesto e ritorno con la mente nella tua camera, seduta sul tappeto davanti ai tuoi album fotografici. Davanti ai tuoi amori.
Ritorno al punto di partenza, a quando ho contribuito a farti sparire, per proteggere la tua reputazione. Ti avrebbero amato di meno, sapendo?
Me lo sono chiesta incrociando gli occhi di tua madre, quelli che da allora ho evitato.
Una risposta, ancora non ce l’ho.
Viviamo tempi difficili, mi sa che siamo stati fregati.
Tu hai cominciato a dare un senso al tuo bisogno d’amore quando l’Aids era una bestia feroce e sconosciuta. Le lacrime che abbiamo versato in silenzio, al cinema, guardando “Philadelphia”…I baci che poi abbiamo deciso di non negarci mai per batter la paura tutti assieme…Ricordi? Io sì.
Il mondo lo volevamo semplice, rispettoso, permeato di intelligenza. Invece sono tornati i pestaggi, gli schiaffi , le battutacce, i sorrisi di fastidio se sanno che ami in modo diverso dal consentito.
Ma tu non ci sei e ora te ne puoi bellamente fottere.
Io, invece, continuo a custodire il tuo segreto e a maledirmi per questo.
eccomi. ho letto. mi piace lasciare commenti nei blog. come te lo preferisco a FF.
ma è impossibile commentare le tue storie.
sarebbe anche ingiusto farlo, per me.
ed allora ti dico solo:
senza parole
sono senza parole…
il cuore. c’è il cuore. per questo arriva.
🙂
Eh, che amarezza.
Fumante.
Amarezza fumante.
Segreti come aghi invisibili della bilancia della reputazione di una persona che non se ne fa più un baffo della reputazione. Mi ha fatto pensare un sacco ‘sto post. Grazie.
Io preferisco commentare su FriendFeed, in genere, però avendo votato ai Macchianera Awards, dopo aver ovviamente scelto “Collettivovoci” come miglior ammucchiata 🙂
Ero indeciso tra questo sitarello e lo zio Bonino come “miglior blog letterario”, e allora son venuto a leggermi 5 racconti a caso pescando dall’archivo, e m’è passato qualunque dubbio (sorry, Alessandro, spero comunque in una tua medaglia d’argento).
Ho votato invece Spinoza sia come miglior novità che come miglior blog umoristico. Trovo fastidioso che non arrivi una mail di conferma con il riepilogo della votazione effettuata, anche per una questione di regolarità e trasparenza, ma dato che Gneri s’è affidato a GoogleDocs per manifesta insipienza tecnica, la cosa non mi meraviglia troppo 🙂
Lascio qua giusto perché è il racconto più recente (e comunque uno di quelli che mi son piaciuti di più tra le storie che ho letto, poi con calma leggo pure il resto, tempo permettendo).
Inoltre, Baci
ma baci a te e grazie di esser passato di qua a trovarmi 🙂 e delle belle parole 🙂
ciao Arturo hai centrato: sì, aghi invisibili che fanno ancora male eh