“Demoniiiiiiiiiiiiii cristianiiiiiiiiiii. Ti e pure Crassi, quel sgionfon!”. La Pina urlava tutti i giorni alle 12.30 davanti alle finestre del palazzo comunale. L’ex presidente del Consiglio socialista, fuggito in pieno scandalo tangenti, era il Crassi nella sua strana parlata di donna padovana, arrabbiata.
Nel bianco Veneto scudocrociato, lei urlava contro i demoni cristiani della politica, deformando la faccia nello sforzo, tanto che nel momento topico pareva lei una indemoniata, appena uscita da un film di serie Z del genere splatter. Gonfiava le guance, gli occhi quasi le uscivano dalle orbite, la pelle rugosa si dilatava come un vecchio pesce palla. E urlava. Lo faceva perché era minacciata dallo sfratto incombente, che aveva già più volte dribblato, come una astuta faina, ma che prima o poi sarebbe arrivato nelle fattezze, tutt’altro che simpatiche, “da sgionfon” appunto, dell’ufficiale giudiziario. La Pina non capiva: lei abitava in una casaccia, piena di muffa e umidità, con pochi mobili raccattati in giro e tenuti sù con i chiodi nei punti giusti. Proprio la sua casa marcia volevano? Perché non quella di un altro? Valle a spiegare che la casa non era sua, che manco pagava l’affitto. “Son vecia, dove vado?” replicava a tutti con voce improvvisamente lamentosa.
Era tutto vero, la Pina era anziana: dimostrava tra i 70 e i 140 anni a seconda delle giornate. Era sola, nel senso che probabilmente nessun parente, prossimo o distante, aveva voglia di sopportarla e quindi fingevano di non conoscerla. Aveva anche una puntina di follia, perché solo una matta, tutti i giorni a mezzogiorno e mezzo, ci fosse il sole, la pioggia e pure la neve, arrivava in piazza trascinando il motorino spento, un vecchio Califfo blu, e si metteva sotto le finestre del sindaco per il quotidiano appuntamento con il “Demoniiiiiiiiiii cristianiiiiiiiiiii”.
Urlava la stessa frase anche davanti alle telecamere della tv privata cittadina, senza paura. Anzi se la rideva, la Pina. Che la prendessero pure per matta, tanto, lei, non aveva nulla da perdere. Se non la sua casetta in cui prima dei nuovi proprietari avrebbero dovuto entrar sicuramente i disinfestatori della Municipalizzata. Perché pare avesse anche un pochino la fissa di raccattar roba qua e là, o sacchetti chiusi contenenti chissà quale sostanza classificabile come “scoassa”.
Non si sa mai, una guerra può sempre riesplodere.
Ma lei era contenta, aveva la sua casetta, le sue cose, il giardinetto con le galline. E se la guerra arrivava, era pronta.
Negli ultimi tempi, già ammalata, arrivava davanti al Municipio con il motorino bardato a festa: un gigantesco fiocco rosso appeso al manubrio del Califfone blu. Sembrava girasse con un enorme regalo a due ruote. Il fiocco glielo avevano regalato alcuni ragazzi e lei lo aveva attaccato al suo amato Califfo. Che nessuno ha mai visto un giorno andar in moto.
Alla fine dopo quasi tre anni di performance, il sindaco si era convinto e le aveva assegnato una casetta nuova in un palazzone popolare alla periferia del paese. Era entrata come non abbiente nelle graduatorie.
35 metri quadri, senza giardino, al terzo piano. Pavimento in linoleum e finestre che davano sul palazzone di fronte. Dalle 14, solo ombra, manco un raggio di sole, entrava in casa dalle due uniche finestre. Spazio per le galline? Nessuno, visto che il giardino condominiale era occupato da grill e barbecue degli altri condomini, tutti arrivati prima di lei.
Di casa la Pina non è più uscita, per mesi e mesi. Era infelice, non sapeva dove andare uscita dal condominio, non conosceva quella periferia, e un pochino ne aveva paura. I vicini poi si tenevano evidentemente distanti da questa vecchietta strana. Il Califfo è rimasto per mesi parcheggiato nel giardino condominiale, con l’enorme fiocco rosso scolorito dalla pioggia.
Alla fine, qualcuno all’ufficio dei Servizi sociali si è ricordato di lei ed è andato a bussare al portone del suo piccolo, nuovo, appartamento. Nessuno da mesi la sentiva più urlare.
Lei era a letto, pareva che stesse dormendo. Ma c’è chi giura che in realtà se la rideva. Da sola.
Nel bianco Veneto scudocrociato, lei urlava contro i demoni cristiani della politica, deformando la faccia nello sforzo, tanto che nel momento topico pareva lei una indemoniata, appena uscita da un film di serie Z del genere splatter. Gonfiava le guance, gli occhi quasi le uscivano dalle orbite, la pelle rugosa si dilatava come un vecchio pesce palla. E urlava. Lo faceva perché era minacciata dallo sfratto incombente, che aveva già più volte dribblato, come una astuta faina, ma che prima o poi sarebbe arrivato nelle fattezze, tutt’altro che simpatiche, “da sgionfon” appunto, dell’ufficiale giudiziario. La Pina non capiva: lei abitava in una casaccia, piena di muffa e umidità, con pochi mobili raccattati in giro e tenuti sù con i chiodi nei punti giusti. Proprio la sua casa marcia volevano? Perché non quella di un altro? Valle a spiegare che la casa non era sua, che manco pagava l’affitto. “Son vecia, dove vado?” replicava a tutti con voce improvvisamente lamentosa.
Era tutto vero, la Pina era anziana: dimostrava tra i 70 e i 140 anni a seconda delle giornate. Era sola, nel senso che probabilmente nessun parente, prossimo o distante, aveva voglia di sopportarla e quindi fingevano di non conoscerla. Aveva anche una puntina di follia, perché solo una matta, tutti i giorni a mezzogiorno e mezzo, ci fosse il sole, la pioggia e pure la neve, arrivava in piazza trascinando il motorino spento, un vecchio Califfo blu, e si metteva sotto le finestre del sindaco per il quotidiano appuntamento con il “Demoniiiiiiiiiii cristianiiiiiiiiiii”.
Urlava la stessa frase anche davanti alle telecamere della tv privata cittadina, senza paura. Anzi se la rideva, la Pina. Che la prendessero pure per matta, tanto, lei, non aveva nulla da perdere. Se non la sua casetta in cui prima dei nuovi proprietari avrebbero dovuto entrar sicuramente i disinfestatori della Municipalizzata. Perché pare avesse anche un pochino la fissa di raccattar roba qua e là, o sacchetti chiusi contenenti chissà quale sostanza classificabile come “scoassa”.
Non si sa mai, una guerra può sempre riesplodere.
Ma lei era contenta, aveva la sua casetta, le sue cose, il giardinetto con le galline. E se la guerra arrivava, era pronta.
Negli ultimi tempi, già ammalata, arrivava davanti al Municipio con il motorino bardato a festa: un gigantesco fiocco rosso appeso al manubrio del Califfone blu. Sembrava girasse con un enorme regalo a due ruote. Il fiocco glielo avevano regalato alcuni ragazzi e lei lo aveva attaccato al suo amato Califfo. Che nessuno ha mai visto un giorno andar in moto.
Alla fine dopo quasi tre anni di performance, il sindaco si era convinto e le aveva assegnato una casetta nuova in un palazzone popolare alla periferia del paese. Era entrata come non abbiente nelle graduatorie.
35 metri quadri, senza giardino, al terzo piano. Pavimento in linoleum e finestre che davano sul palazzone di fronte. Dalle 14, solo ombra, manco un raggio di sole, entrava in casa dalle due uniche finestre. Spazio per le galline? Nessuno, visto che il giardino condominiale era occupato da grill e barbecue degli altri condomini, tutti arrivati prima di lei.
Di casa la Pina non è più uscita, per mesi e mesi. Era infelice, non sapeva dove andare uscita dal condominio, non conosceva quella periferia, e un pochino ne aveva paura. I vicini poi si tenevano evidentemente distanti da questa vecchietta strana. Il Califfo è rimasto per mesi parcheggiato nel giardino condominiale, con l’enorme fiocco rosso scolorito dalla pioggia.
Alla fine, qualcuno all’ufficio dei Servizi sociali si è ricordato di lei ed è andato a bussare al portone del suo piccolo, nuovo, appartamento. Nessuno da mesi la sentiva più urlare.
Lei era a letto, pareva che stesse dormendo. Ma c’è chi giura che in realtà se la rideva. Da sola.
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